Ordinanza n. 100/2001

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ORDINANZA N.100

ANNO 2001

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Cesare RUPERTO, Presidente

- Fernando SANTOSUOSSO

- Massimo VARI

- Riccardo CHIEPPA

- Gustavo ZAGREBELSKY

- Valerio ONIDA

- Carlo MEZZANOTTE

- Guido NEPPI MODONA

- Piero Alberto CAPOTOSTI

- Annibale MARINI

- Franco BILE

- Giovanni Maria FLICK

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 4-ter, commi 2, 3, lettera b), 4, 5, 6 e 7 del decreto-legge 7 aprile 2000, n.82 (Modificazioni alla disciplina dei termini di custodia cautelare nella fase del giudizio abbreviato), convertito, con modificazioni, in legge 5 giugno 2000, n.144, promosso con ordinanza emessa il 5 luglio 2000 dalla Corte di assise di appello di Caltanissetta nel procedimento penale a carico di S. R. ed altri, iscritta al n. 612 del registro ordinanze 2000 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 44, prima serie speciale, dell’anno 2000.

Udito nella camera di consiglio del 7 febbraio 2001 il Giudice relatore Giovanni Maria Flick.

Ritenuto che, con ordinanza emessa il 5 luglio 2000, la Corte di assise di appello di Caltanissetta ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 4-ter, commi 2, 3 con riferimento alla lettera b), 4, 5, 6 e 7 del decreto-legge 7 aprile 2000, n.82, convertito, con modificazioni, nella legge 5 giugno 2000, n. 144, per contrasto con gli artt. 3, primo comma; 27, terzo comma; 97, primo comma; 101, secondo comma; 102, primo comma, e 111, secondo comma, ultima parte, della Costituzione;

che il giudice a quo premette che, nel corso del giudizio in grado di appello nei confronti di tre imputati condannati in primo grado alla pena dell’ergastolo per il reato di duplice omicidio aggravato in concorso, era stata disposta la parziale rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, con assunzione in contraddittorio di nuove prove;

che, all’udienza nella quale era previsto il completamento dell’istruttoria stessa con il passaggio alla fase della discussione finale, tutti gli imputati avevano chiesto di essere giudicati con il rito abbreviato, in applicazione delle disposizioni contenute nei commi 2, 3 lettera b), 4, 5, 6 e 7 prima parte dell’art. 4-ter del decreto-legge 7 aprile 2000, n.82, convertito, con modificazioni, nella legge 5 giugno 2000, n. 144;

che l’ammissibilità di tale richiesta - da ritenersi ritualmente avanzata, ricorrendo tutti i presupposti previsti dalla norma citata - portava il rimettente a dubitare della compatibilità costituzionale del citato art. 4-ter del decreto-legge 7 aprile 2000, n.82, convertito, con modificazioni, nella legge 5 giugno 2000, n. 144, in relazione a molteplici parametri, primo tra tutti quello dell’art. 3 Cost.;

che, invero, la norma censurata - giustificata con la generale finalità di consentire all’imputato, che non abbia potuto accedere al giudizio abbreviato ordinario per l’avvenuta scadenza del termine di proposizione della richiesta, di usufruire comunque di tale rito speciale - sarebbe fonte di disparità di trattamento: infatti, per gli imputati in procedimenti riguardanti reati punibili con pene diverse da quelle dell’ergastolo, il limite temporale concesso per la proposizione della richiesta di giudizio abbreviato é quello dell’inizio dell’istruttoria nel dibattimento di primo grado (art. 4-ter, comma 1); invece, per gli imputati di reati punibili con l’ergastolo la richiesta può essere avanzata fino alla conclusione dell’istruttoria dibattimentale nel giudizio di primo grado (art. 4-ter, comma 2) e perfino nel giudizio di appello, ove sia stata disposta la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, prima della conclusione della stessa (art. 4-ter, comma 3);

che tale disciplina, in sè intrinsecamente discriminatoria, risulterebbe altresì inconferente, e come tale priva di qualsivoglia ragionevolezza, rispetto agli scopi propri del giudizio abbreviato, individuabili nella preminente esigenza deflattiva, perseguita attraverso la radicale rinunzia dell’imputato a difendersi nell’ordinario rito accusatorio, con conseguente diminuzione di pena: viceversa, tale ragionevole coerenza di sistema verrebbe meno nel meccanismo procedurale delineato nel citato art. 4-ter, con riferimento ai procedimenti per reati punibili con la pena dell’ergastolo, ove la possibilità di richiedere il rito speciale fino al momento della chiusura dell’istruttoria dibattimentale e persino in grado di appello, configurerebbe una vero "diritto potestativo sulla pena" in capo a tale categoria di imputati;

che, infatti, costoro possono avanzare la loro richiesta "a costo zero", conoscendo cioé la situazione probatoria consolidatasi nell’istruttoria dibattimentale e, dunque, potendo valutare, immediatamente prima della discussione finale, la convenienza o meno di un giudizio di merito fondato esclusivamente sulle risultanze dell’istruttoria dibattimentale o <<anche sulla base degli atti contenuti nel fascicolo di cui all’art. 416, comma 2>> (art. 4-ter, comma 2, ultima parte), vale a dire sugli atti delle indagini preliminari;

che ulteriori profili di irragionevolezza di tale facoltà di accesso al rito abbreviato, anche ad istruttoria dibattimentale pressochè conclusa, sarebbero rappresentati dalla completa elisione dello scopo di economia processuale proprio del rito speciale e dalla irragionevole possibilità di una decisione di merito fondata, in pari misura, su due "blocchi" di prove, assunte con logiche, metodi e criteri contrapposti;

che sussisterebbe, ancora, violazione dell’art. 3, primo comma, della Costituzione, sotto il profilo della preclusione dell’ accesso allo speciale rito disciplinato dall’ art. 4-ter citato per gli imputati in processi nei quali, al momento dell’entrata in vigore della legge 5 giugno 2000, n. 144, era in corso la discussione in primo o in secondo grado, nonchè per gli imputati nei giudizi di secondo grado in cui non sia o non sia stata ancora disposta la riapertura dell’istruzione dibattimentale;

che, secondo il giudice a quo, la norma in esame violerebbe anche l’art. 27, terzo comma, della Costituzione, nella parte in cui tale precetto costituzionale esige che la pena da infliggere sia proporzionata ed adeguata all’effettiva gravità del fatto: il meccanismo introdotto dalla norma censurata, non contemplando una concreta verifica dell’efficacia della pena che ne risulta, vanificherebbe la funzione rieducativa della stessa ed attribuirebbe un beneficio all’imputato in assenza di comportamenti valutabili sotto il profilo della rieducazione, disarticolando così la sanzione penale dal principio di adeguatezza alla gravità del fatto, con ulteriore violazione del principio di eguaglianza rispetto a quegli imputati per i quali la pena viene, invece, determinata in modo congruente con i principi, i criteri e la funzione dell’art. 133 cod.pen.;

che sarebbe vulnerato, ancora, l’art.101, secondo comma, della Costituzione, in quanto, nel modello di rito abbreviato delineato nella norma censurata, l’automatismo tra dichiarazione dell’imputato e riduzione della pena, risolvendosi in un diritto potestativo sulla pena attribuito all’imputato, costituirebbe un vincolo o una "sovradeterminazione" nella decisione per il giudice, essendo quest’ultimo privato del potere di stabilire la pena adeguata, attribuitogli in via generale dall’art. 133 cod.pen., o comunque limitato nell’esercizio di esso, con una norma in deroga di carattere singolare e contingente;

che, inoltre, proprio in quanto esautora il giudice da ogni potere discrezionale nell’applicare la riduzione di pena, l’art. 4-ter citato introdurrebbe una "diminuente speciale ad effetto bloccato", imposta per legge ai processi in corso, con conseguente violazione anche dell’art. 102, primo comma, della Costituzione, in quanto la riduzione della pena non sarebbe più opera del giudice, ma <<scelta diretta del legislatore che nel caso concreto si sostituisce al giudice>>;

che, infine, il giudice a quo rileva come l’art. 4-ter del decreto-legge 7 aprile 2000, n.82, convertito, con modificazioni, nella legge 5 giugno 2000, n. 144, si ponga in contrasto con gli artt. 97, primo comma, e 111, secondo comma, della Costituzione in quanto, traducendosi la disciplina censurata in un sensibile allungamento dei tempi di definizione del procedimento, la stessa comprometterebbe, ad un tempo, tanto il principio di buon andamento dell’amministrazione della giustizia, che il nuovo, specifico vincolo costituzionale della "ragionevole durata del processo".

Considerato che il decreto-legge 24 novembre 2000, n. 341 (Disposizioni urgenti per l’efficacia e l’efficienza dell’Amministrazione della giustizia), convertito, con modificazioni, dalla legge 19 gennaio 2001, n. 4, ha apportato sensibili innovazioni al quadro normativo di riferimento della questione sollevata;

che, in particolare, l’art. 7 del d.l. n.341 del 2000 ha stabilito, al comma 1, con norma di interpretazione autentica dell’art. 442, comma 2, ultimo periodo, cod. proc. pen., che <<l’espressione "pena dell’ergastolo" deve intendersi riferita all’ergastolo senza isolamento diurno>>, ed ha altresì aggiunto, con il comma 2, un ulteriore periodo al capoverso del medesimo art. 442 cod.proc.pen., prevedendo che <<alla pena dell’ergastolo con isolamento diurno, nei casi di concorso di reati e di reato continuato, é sostituita quella dell’ergastolo>>;

che, in correlazione a tali previsioni, l’art. 8 del medesimo d.l. n. 341 del 2000 ha inoltre introdotto una speciale disciplina transitoria per i procedimenti penali in corso, stabilendo che l’imputato, in determinate ipotesi, possa revocare la richiesta di giudizio abbreviato ovvero la richiesta di cui al comma 2 dell’art. 4-ter del d.l. n. 82 del 2000;

che, pertanto, gli atti devono essere restituiti al giudice rimettente, perchè valuti se la questione sollevata possa ritenersi tuttora rilevante nel giudizio a quo.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

ordina la restituzione degli atti al giudice rimettente.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 marzo 2001.

Cesare RUPERTO, Presidente

Giovanni Maria FLICK, Redattore

Depositata in Cancelleria il 4 aprile 2001.